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atto secondo | 133 |
Cintia. Anzi è cosí il grido universale, che dove voi apparite come un lampo offuscate lo splendor di ciascheduna: e questa mattina in chiesa se ne vide il paragone al giudicio di tutti e principalmente di un fidelissimo e affezionatissimo vostro servitore che vi ama e riverisce fra tutti.
Erasto. (Certo ch’ora le vuol ragionar di me, che ha detto: un fidelissimo e affezionatissimo vostro servidore che vi ama e riverisce fra tutti»).
Amasio. Chi è costui che voi dite?
Cintia. Era stamane io cogli altri in chiesa, che la giudicai tale.
Erasto. (Non tel dissi io? ben l’indovinava: ha detto «Erasto»).
Cintia. Non son io vostro servidore?
Amasio. Anzi, mio carissimo padrone.
Erasto. (Ha risposto che son suo «padrone». O Cintio mio galante, o Cintio mio realissimo amico!).
Cintia. Le vo’ chieder una grazia, ...
Amasio. Che mi comanda?
Erasto. (Le chiede «una grazia»: certo le dirá che venghi a giacer meco questa notte).
Cintia. ... la qual perché sète solita concedermi altre volte, mi prometto tanto del suo favore che so non mi mancherete: ...
Amasio. Dite via, presto.
Cintia. ... che mi prestiate le vostre vesti, che vogliam recitare una comedia; e mi servono dalle due ore di notte insino all’alba. ...
Erasto. (L’ha dimandato «una grazia solita». E poi non so che ha detto, ché non l’ho potuto intender bene; ma ará detto che venghi «alle due ore di notte insin all’alba») .
Cintia. ... E se volete venir in casa nostra a vederla, ci onorarete con la vostra presenza.
Amasio. Se volete questa será al vostro comando, né bisogna me ne abbiate obligo alcuno, che ho piú a caro servirlo che voi, o esser servito; del venir a veder