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130 | la cintia |
favola darò di me per tutte le lingue: uomo di giorno e femina di notte!).
Erasto. Cintio mio, vi son gito cercando una gran pezza.
Cintia. Eccomi per servirvi.
Erasto. Ti ha lasciato il dolore?
Cintia. I dolori mi son fatti tanto familiari che mai quasi non m’abbandonano.
Erasto. Cintio mio, perché conosco l’amor vostro verso di me, piglio animo di avalermi del vostro favore: i’ vorrei pregarvi di molti favori che mi premono ben assai.
Cintia. Ho caro me si porga occasione onde possiate accertarvi dell’amor che vi porto.
Erasto. Ditemi prima: che sai d’Amasia mia?
Cintia. È sempre con voi la poverina, e piú ora che mai.
Erasto. Da questo, di che intendo pregarvi, piglio argomento dell’amor che mi portate: ché la notte che viene mi trovi con Amasia e, perché senza voi non posso far nulla, mi avaglio della grazia solita.
Cintia. Veramente senza me non potreste far nulla: farò di modo che la mia balia gli ne faccia motto e che restiate sodisfatto in ogni modo.
Erasto. Vorrei un’altra grazia: vederla in casa vostra di giorno o in fenestra fuor della gelosia liberamente, perché, avendola amata tanto tempo ed essendo mia sposa, non ho potuto saziarmi di vederla a mio modo.
Cintia. Mi chiedete cose troppo difficili, Erasto mio: io vorrei che soffriste quanto potete, e godeste fratanto tutto quel piacere che vi viene offerto dalla vostra felice avventura, ché poi quando sarete vostri conoscerete le cagioni scerete di quel che or non sapete. Come volete ch’una donzella, o stimata donzella insin ora, venghi di giorno in casa mia ove non son altre donne ch’una mia balia vecchia e scimonita, e per farsi veder per le fenestre? Ponetevi in suo luogo e siate giudice di voi stesso.
Erasto. Non è ella mia moglie? l’onore e la sua infamia è mia.