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atto secondo | 121 |
ché come avanzava tutte l’altre da me conosciute, cosí conversando con lei me ne accesi sí fieramente che la fiamma era al maggior grado. Ma io fui cosí destro che non la feci accorta dell’amor mio, dubitando che, non essendo convenevol sogetto d’esser riamato da lei, avesse schivato o sdegnato l’amor mio. M’accorgo che costei s’era invaghita d’un gentiluomo, ma da quello non conosciuta o stimata poco; onde era cosí impossibile io di lasciarla come quello fusse rivolto ad amarla. Io, vedendo che col core ci perdeva il tempo e la vita insieme, feci pensiero d’ingannarla. Mi domestico con la balia, la corroppi con danari e l’indussi a tradirla d’un amoroso tradimento. ...
Erasto. Questo è un principio d’ingiuria.
Cintia. ... Finse la balia esser amica del gentiluomo amato; e le referí da sua parte che molto gradiva l’amor suo, ma per certi rispetti, che sarebbon lunghi a raccontarsi, egli non voleva venir a lei se non di notte, che a pena si fidava di lui medesimo. La donna rimase contenta, e si determinò la notte; ed io con le vesti simili a quelle del gentiluomo, sotto il mentito abito fui introdotto in sua camera, gli diedi la fede e godetti del suo amore. ...
Erasto. Come costei fu cosí sciocca che non s’accorse che non giaceva con quello che tanto amava?
Cintia. Quella falsa imaginazion di dolcezza l’ingannò, avendo ripieno l’animo dell’imagine della sua bellezza.
Erasto. Ognuno si può ingannare, ma non un innamorato.
Cintia. La buona sorte m’aiutò, in somma.
Erasto. In ogni cosa io porei esser ingannato, ma non in questa.
Cintia. ... Cosí ella pigliando molte volte me in fallo, ma non io lei, sotto sí piacevole inganno ho gustato le estreme dolcezze di amore. Ahi, che non ingannava lei, ma ingannava me stesso, perché abbracciando lei abbracciava la mia ruina, cercando refrigerio in mezo le fiamme e riposo in mezo le pene! Ecco il meglio stato dove mi trovo.
Erasto. Cintio mio caro, per dirvelo alla libera, come conviene fra tali amici come noi siamo, da che nacqui io non