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120 la cintia


Cintia. Ragionamo d’altro, di grazia.

Erasto. Se non ragionamo de’ nostri amori, di che ragioneremo noi?

Cintia. Dite il vero, ché a niuno appartengono quanto a noi.

Erasto. Quante dolcezze e gioie ho conseguito in questa vita, tutte l’ho conseguite per vostro mezo.

Cintia. È vero che senza me non areste avuta niuna dolcezza, né di ciò mi dovete aver obligo alcuno, perché di quella ne ho avuto altretanta anch’io, anzi il doppio, ché ho avuto il mio e il piacer del vostro piacere.

Erasto. Orsú, narratemi i vostri amori, ché farò tutto il possibile accioché abbiate il vostro intento.

Cintia. Fusse pur cosí che lo diceste col core e non per complemento con parole di cerimonie!

Erasto. Mi sia cavato il core se non lo dico con tutto il core!

Cintia. Volendo voi favorir i miei amori, son gionto a quel segno a cui son volti tutti i miei pensieri.

Erasto. Io non m’offerisco di nuovo, accioché non ponga in compromesso quello che vi ho offerto da prima. Vorrei che mi comandaste, accioché io cominciassi a sciôr uno di quegli oblighi che vi tengo, e ogni affanno che patissi sarebbe ben impiegato per voi.

Cintia. Non vi feci alcun serviggio mai che non l’avessi fatto con animo di farvene degli altri: bastare solo che conosciate che io vi ami.

Erasto. Non moltiplichiamo in cerimonie; pregovi per quanto amor mi portate, che mi scopriate i vostri amori.

Cintia. Poiché mi giurate per cosa alla quale io non posso venir meno, io vo’ narrarvi i miei amori.

Erasto. Orsú, dite.

Cintia. Gli dirò. Ma fate conto che voi siate quella persona che tanto amo e a cui sia accaduta questa mia amorosa istoria, accioché ne possiate far quel giudicio che si conviene. ...

Erasto. Volentieri.

Cintia. ... Io avea amicizia con una persona, l’eccellenza della cui bellezza era tanta che non si potria esprimere a parole,