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94 la cintia

di stillato argento, vengo ad un sí solenne spettacolo e ad allegrarmi con esso voi, o miei illustri e magnanimi figli; posciaché per cosí fatta ragione posso far gloriosa concorrenza col Po, col Mincio e col famoso Tebro.

Qui la copia col ricco corno feconda il bel vostro paese; qui la moltitudine del popolo contende con la grandezza della cittá, perché la cittá con la sua grandezza non cape in se stessa e il popolo è quasi infinito: la sua capacitá è cosí grande che non si può imaginar cosí gran popolo che basti a riempirla, e il popolo è cosí numeroso che non si può imaginar cittá che basti a capirlo; onde si può ben dire che l’un resti dell’altro vincitore. Qui è il tempio della religione, qui il trono della giustizia, qui la vera sede della pace, qui il rifugio de’ miseri, qui il seggio della magnificenza, qui il cielo pieno di felici influssi, qui fioriscono i nobilissimi intelletti, qui cantano per le mie rive piú assai canori cigni che per le vaghe rive di Meandro, qui il valor della cavalleria, le leggi e le armi e i buoni costumi che bastano a far felice ogni cittade; onde non è maraviglia se cosí io me ne pregio, me ne glorio e me ne vanto.

Ecco qui una compagnia di nobilissimi cavalieri che vogliono recitar una comedia a queste bellissime gentildonne. Voi dunque con la piacevolezza de’ vostri angelici visi aggradite le lor fatiche, accioché poi con maggior animo ve ne rappresentino dell’altre. Vivete dunque felici e lieti, ch’io, veggendo dar principio alla favola, mi ritiro a piú riposta parte per ascoltarla.