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90 | l’olimpia |
Sennia. Desiderarei certo che mia figlia fusse degna d’esser serva vostra e moglie di vostro figliuolo: poiché egli vi scacciò, io vi ricolgo in questa casa e ve ne fo padrone come lui. Entrate.
Filastorgo. Ringrazio la vostra soverchia cortesia.
Teodosio. Consorte carissima, poiché sei giá fatta chiara ch’io sia Teodosio tuo marito che un tempo amasti con tanta fede e amore, se per l’altrui inganni mi scacciasti da te, dammi ora licenza che ti possa ricevere in queste braccia.
Sennia. O Dio santo e benedetto, chi è piú contenta di me in questa vita? Poiché mi concedi il mio marito doppo sí lungo tempo, che amai tanto e amerò mentre viva, temo di non svenirmi di contentezza.
Teodosio. Ecco Eugenio tuo figliolo a cui desti il latte e partoristi, e amavi un tempo.
Sennia. Succedi, figlio, in quel luoco che altri si aveva usurpato, e perciò ne fosti scacciato. Non pigliarlo, figlio, ad ingiuria ma a soverchia affezion che portava al nome tuo: quella m’appannò gli occhi e quella sola mi fe’ ricevere altri in tuo nome.
Eugenio. Bastami solo, madre, che m’ami e che dopo tanti travagli mora nella patria e fra’ miei parenti.
Mastica. Spettatori, or che Olimpia coglie il frutto della sua fermezza e amore e che son finite le lacrime e i sospiri, e io ho tolto la cena di bocca da’ lupi che giá avevano aperta la gola e stavano per inghiottirsela, andremo a godere. E perché io non desidero compagnia al mangiare, andatevene alle vostre case; e se pur volete rallegrarvi del lieto fine e delle altre contentezze di costoro, prima che vi partiate fatene qualche segno di allegrezza.