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appiccati senza ragione; e per esser piú persone di nuovo aggionte, bisogna comprar piú robbe per lo banchetto e tener corte bandita.

Sennia. O Dio, ringraziato sii tu! non deve mai l’uomo sconfidarsi della tua grazia, ché sai meglio rimediare che noi sappiamo dimandare.

Mastica. Eccoli che vengono; calate giú, padrona, a riceverli.

SCENA VIII.

Lampridio, Filastorgo, Teodosio.

Lampridio. O padre, mi vergogno domandarvi perdono dell’offesa fattavi.

Filastorgo. Fa’ che per l’avenire si ricompensi in essermi ubidiente, che giá hai conosciuto se t’amo.

Lampridio. Non arei potuto vederne piú chiaro segno, e per rendervi le debite grazie di tanta affezione mi mancano le parole: però vi priego che col vostro savio discorso consideriate quel tanto obligo che vi debbo e per natura e per debito, e facci Iddio che io viva tanto che possa dimostrarlovi.

Filastorgo. Fa’ che ami la tua Olimpia, poiché ne hai tanto patito e fatto patire ad altri.

Lampridio. È soverchio ricordarmelo, padre.

Filastorgo. Teodosio, io ve lo do per genero e per servo.

Teodosio. Lo ricevo per genero e per figliuolo.

Lampridio. Andiamcene a casa e diamo questa allegrezza a Sennia e non la facciamo piú penare.

Teodosio. Giá la vedo comparire dinanzi la porta.

SCENA IX.

Lampridio, Sennia, Filastorgo, Teodosio, Eugenio, Mastica.

Lampridio. Perdonami, o carissima madre, poiché sotto questo venerabil nome di madre io t’ho ingannata; né io arei ardire comparirti dinanzi se la suprema bontá di Dio non