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atto quinto 89

SCENA V.

Erotico, Attilio.

Erotico. (Mira fortuna! m’è forza di confortar costui, e ho bisogno di esser confortato io). Fermatevi, ché voglio esser partecipe delle vostre fatiche e compagno nelle vostre sciagure; ché, le nostre fortune poiché hanno una conformitá fra loro, andiamo insieme.

Attilio. Avendo per compagno un amico cosí caro come voi sète, la mia sciagura diverrebbe fortuna: però vo’ andarmene solo e disperato.

Erotico. Il disperarsi è un tradir se stesso, e, tradendo voi, tradite me insieme con voi: però consultiamoci un poco.

Attilio. L’anima mia è in tanta confusione, che non ci è luogo alcuno per consolazione.

Erotico. Ascoltate una parola.

Attilio. Non ho tempo.

Erotico. Vi spedirò subito.

Attilio. Son contento; ma fate presto.

Erotico. A cosí maladetto, insolito e sregolato accidente, andandoci con buon ordine, è temperamento di effetto.

Attilio. Orsú, hai finito?

Erotico. Non mi accurtate il tempo che mi avete dato.

Attilio. Voi lo prolungate piú di quello che v’ho promesso. Ho tanto in odio il mondo, questo sol, questa luce, che vorrei esser mille passi sotterra per non vedergli.

Erotico. Andiamo, come volete; ma non sarebbe bene aspettar Trinca, per saper qualche cosa di Cleria? che fa, che dice, che spera?

Attilio. Fa quello istesso che fo io; e mi affligono piú i suoi che i miei dolori, però schiverò di udirlo.

Erotico. Ed io vo ancor disperato, non potendomi imaginar la cagione, come Sulpizia sia cosí meco adirata.

Attilio. O casa, io mi parto per non averti a veder piú mai. Tu pur fosti ricetto un tempo di ogni mia gioia e consolazione: