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atto quarto | 77 |
SCENA VIII.
Sulpizia, Erotico.
Sulpizia. (Ecco il turbator della mia pace; e pur ardisce alzar gli occhi su le mie fenestre!).
Erotico. (Se l’imaginazione non mi rappresenta il falso, mi par che un chiaro splendore del mio sole venghi a ferirmi gli occhi: ella è pur dessa. Vo’ salutarla). Io vi saluterei, signora, se non facessi il contrario, perché ogni salute e ben ch’io spero, non può venirmi altronde, se non da lei. Ma faccivi Idio cosí lieta e contenta, come v’ha fatto la piú bella e graziosa dell’universo.
Sulpizia. Rendati Idio cosí infelice e disgraziato, come tu hai me reso infelice e disgraziata.
Erotico. Oimè, che è quel che sento? sète voi dessa, over io son un altro? e che parole son quelle che odo?
Sulpizia. Quelle che mi detta il dolore, partorite da giusto sdegno, e quelle di che la tua infedeltá me ne dá cagione.
Erotico. E da quella bocca di perle e di oro posson uscir parole tanto odiose? Di grazia, se lo fate da scherzo, non le dite da vero. E che altro è dirmi questo, che scannarmi con le man vostre?
Sulpizia. Toglitime dinanzi, brutto cane.
Erotico. O anima mia, se da te mi scacci, a chi devo ricorrer io? dove mi scacci, se le tue bellezze mi tengono legato con troppo saldi legami, e la luce de tuoi begli occhi m’è sí cara, che come nuova farfalla corro ad accendermi e morire in sí bel foco?
Sulpizia. Le tante cortesie, ricevute da me, non meritavano tal guiderdone.
Erotico. Ho conosciuto veramente tanta gran cortesia non meritarla; ma la vostra gentilezza me ne ha fatto degno.
Sulpizia. Queste paroline melate usi tu per ingannar le povere semplicelle, per giongere a quel termine che desiate, e poi