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76 la sorella


Gulone. Avete potestá dirmi quel che volete, perché vi son schiavo. Morrei piú tosto che restar di non mangiar teco, e ci mangiarò oggi a vostro dispetto.

Pardo. T’ho detto che sei un furfante.

Gulone. Ed io vi dico che sète uomo da bene. Avemo detto una bugia per uno.

Pardo. Fa’ che tu non accosti piú alla tavola mia.

Gulone. Che diavolo stimi, che se non ho la tavola con mesal bianco, ornato di frondi e di fiori, e di salvietti fatti a torrioni, che non sappia mangiare? buon vino e buona carne fa l’effetto.

Pardo. Non te n’è mancato in casa mia.

Gulone. Sí, carne di asino, di quelli che portano le pietre per le fabriche, tutti pieni di cancheri e di guidaleschi: e se pur qualche pollo, senza testa, senza piedi e senza ali, e senza fegadelli e ventricelli, ché te ne servivi per l’insalate, ti veniva tronco a tavola, che parea che fosse stato alla rotta di Ravenna. Bisognan pollastroni e galli d’India intieri intieri, ogni cosa a tavola alla tedesca, i catini pieni, e ogni un piglia quel che vuole.

Pardo. Creanza de pari tuoi! dopo aver diluviato e tracannato a tuo modo, vai dicendo il contrario.

Gulone. Minestre fredde e vin caldo, che bisognava tormi da tavola piú morto di fame, che quando ci venni.

Pardo. Mi dispiace l’onor che ti ho fatto; ma tu non pratticherai piú meco.

Gulone. Ed a che mi può servir la tua vecchiezza? a darmi consiglio? Io non ho bisogno di consiglio, né fo mai cosa con consiglio.

Pardo. Se non vai via, chiamerò alcun di casa, che ti spezzi l’ossa.

Gulone. Chiama Mazzafrusto o Sgraffagnino che mi prendano.

Pardo. Vo’ entrarmene in casa, per tormi questa bestia dinanzi.

Gulone. A tuo dispetto, or vo ad un banchetto in casa d’un amico.