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atto quarto | 69 |
Attilio. Ohimè, che dici?
Constanza. Quel che la conscienza mi sforza a dire.
Attilio. Cleria è mia sorella?
Constanza. Cosí tua sorella, come io tua madre: conceputi d’un istesso seme, portati nove mesi e partoriti dal medesimo ventre mio.
Attilio. O crudeli effetti di fortuna, o essempi di somma infelicitá, o infelice versaglio di compassione! e qual penitenza emenderá il mio fallo? Dunque, sarò marito e fratello di mia sorella, padre de miei nipoti e zio de miei figliuoli? sarò genero vostro e di mio padre?
Constanza. Figlio, l’ignoranza fa men colpevole l’errore del tuo non fallo. Guardati per l’avvenire non abusar la conversazione e l’amor di tua sorella, amala di puro e sincero amore: se la tocchi, toccala come sorella; se l’abbracci, abbracciala come sorella, ché, abbracciandola altrimenti, abbracciaresti la tua infamia e vitupèro.
Attilio. O madre, come può esser questo? che ricordandomi de quei primi fiori colti della sua bellezza, de’ passati piaceri che ho gustati nella sua conversazione, delle godute bellezze e de’ posseduti tesori delle sue grazie, che non cerchi spenger quelli ardenti e infocati effetti di amore nel godimento della sua persona?
Constanza. Avézzati a poco a poco a non mirarla, perché dalla vista dell’amata persona cresce la fiamma nell’intime midolle; avézzati a non parlarle, perché le parole son via alla concupiscenza; fuggi, quanto puoi, di trovarti da solo a solo con ella, accioché l’occasione non susciti l’uso, e ti conduca a qualche reo e biasmevol fine; allontanati da lei per qualche tempo, perché la lontananza degli occhi genera la lontananza dal cuore, e con generosa pazienza sopporta lo sforzo della tua inclinazione.
Attilio. Ahi, che non per cangiar loco si cangia il core; e se il luogo disunisce, amore unisce i cuori. E queste cose son facili a persuadere, ma impossibili ad essequirsi.
Constanza. Lascia pensieri cosí sensuali e desidèri cosí brutti, e lasciatevi governare dal freno della ragione.