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66 | la sorella |
Trinca. Volentieri.
Attilio. Or l’accoglienze, madre cara, che non vi ho fatte al primo incontro, datemi licenza che le facci ora, che possa abbracciarvi e baciarvi a modo mio. Madre, cara sopra tutte le madri, madre che mi sei per natura e per obligo, madre che due volte dái la vita al tuo figliuolo, che farò, mentre sarò vivo, per disubligarmi da tanto beneficio?
Constanza. Poco è, figliuolo, quello che domandi che faccia per amor tuo; e prima che qui giungessi, ho desiata occasione di servirvi tutti.
Attilio. Ecco mio padre.
SCENA III.
Pardo, Constanza, Attilio.
Pardo. O Constanza, carne mia, sei tu dessa over io non son io? o è forse questo un sogno? o fingo imagini a me stesso del desiderato bene? Tu sei ben dessa, e me ne sono assicurato, ché con piú d’una guardatura ho confrontato l’imagine tua con quella che nel cuor impressa mi lasciasti.
Constanza. O marito, marito caro, che, avendo perduta la speranza di non averti mai piú a rivedere, or veggendoti e abbracciandoti, non lo credo.
Pardo. O moglie cara, o quanto ho pianto il mio peccato di averti mandato a chiamar da casa tua per condurti in Polonia, preponendo la mia comoditá al tuo discomodo.
Constanza. Posso dir che, tenendovi cosí abbracciato, tengo la cosa piú desiderata che abbia al mondo.
Pardo. Ed io l’anima mia; ché, rimasto senza te, rimasi un cadavero. Oh quanto mi sei or cara viva, poiché tanto t’ho pianta morta? ché, avendo mandato il mio figlio in Turchia col riscatto, mi riferí ch’eravate morta. Piaccia a Dio s’allonghi tanto la vita mia, che faccia a te quella servitú che per mia cagione hai fatta a quei cani.
Constanza. Bastami che m’amiate per l’avvenire, quanto