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atto quarto 65


Constanza. Ti giuro, figlio, per quella grande affezion che ti porto, che spenderei questo avanzo di vita in tuo serviggio. Che se non m’adoperassi per un figlio, per chi debbo adoprarmi io?

Attilio. Poiché cosí volete, vi scoprirò il tutto. Mi mandò mio padre con trecento scudi in Constantinopoli, per lo vostro riscatto. Venni in Vineggia per imbarcarmi per colá, e m’innamorai di una giovane bellissima, spesi i trecento ducati nel suo riscatto, la sposai, tornai a Nola, e diedi ad intendere a mio padre che voi eravate morta, e che avea riscattata Cleria, la mia sorella. E sotto nome di Cleria è stata ricevuta, per non dargli tal disgusto in quel poco tempo che potrá sopravivere. Or voi, entrando in casa e dicendo che quella non è Cleria vostra figlia, lo farete morir di dolore, né si terrebbe sodisfatto se non mi diseredasse e mi cacciassi fuor di casa.

Constanza. E s’io dicessi che quella fusse Cleria mia figlia, ti saria di contento?

Attilio. Grandissimo.

Constanza. Vi prometto dirlo; e l’accetterò per figliuola e per mia dilettissima nuora, mentre vivo, per amor vostro. Non sapete voi che le madri condescendono agevolmente a i desidèri de’ figliuoli, e li sono aiutrici verso i padri?

Attilio. Madre, ciò facendo vi arò piú obligo che della vita che donato mi avete, quando mi partoriste; ché, amando costei piú dell’istessa vita, donandomi costei, mi donate la vera vita.

Trinca. Ma bisogna, padrona, quando v’incontrate, usar quelle accoglienze come si fosse la propria Cleria vostra figlia; e dimandandovi di alcune cose, le sappiate rispondere e, di quelle che non sapete, tacere.

Constanza. Non son tanto goffa, che non sapesse fingere questo poco; e quando mai far non lo sapessi, l’amor che vi porto, mi sará miglior maestro che costui: so quello che si debba dire e tacere, e non me lo farò dir piú d’una volta.

Attilio. Trinca, sali su, fa’ calar mio padre, ché venghi a ricever la sua moglie tanto desiderata; e avisa la mia Cleria del trattato.