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60 | la sorella |
Trinca. Non vi fur arme, solo l’asta.
Trasimaco. Fur piú di cento, ti dico.
Trinca. Non piú di uno, canchero! ti dico.
Trasimaco. Cento cancheri, ti dico io.
Trinca. Chi lo può saper meglio di me, che vi fui presente, e l’ho visto con questi occhi?
Trasimaco. Chi lo può saper meglio di me, che ho patito le maladette bòtte su le braccia, sul collo e su le spalle, che andavano tutte a pieno, e parea che cadessero dal cielo?
Trinca. Non fu piú di un solo.
Trasimaco. Come? se mi sentiva piú legni addosso che non ha un bosco; e dove mi voltava, non vedeva altro che bastoni e cielo, e mi pareva che tutte le legne del mondo si fussero congiurate contro le mie spalle.
Trinca. Non fu piú di un solo, ti dico.
Trasimaco. Se avesse avuto cento braccia come Briareo, non potea far tanto macello: mi scoppettizava, mi bombardeggiava su le spalle, a guisa di batteria.
Trinca. Un solo fu.
Trasimaco. Perché non avisarmi? sei uomo di poca discrezione.
Trinca. Mi pensava che volessi usar qualche stratagemma di guerra, qualche astuzia di gran capitano.
Trasimaco. Io non consumo tempo in astuzie e stratagemme militari, mi risolvo alla prima.
Trinca. Stimava che volessi straccarlo; e come fusse stracco delle braccia, saltargli adosso e strangolarlo.
Trasimaco. Io mi terrei a vergogna uccider genti stracche, non son cose da pari miei vincer con astuzie; ma poiché era un solo, perché non entrar in mezo e avisarmi?
Trinca. Dio me ne guardi, che mi fusse posto in mezo: mi avisasti prima, che, quando stavi infuriato, ammazzavi gli amici e gli nemici.
Trasimaco. È vero quanto dici; ma, essendo un solo, dovevi avisarmi.
Trinca. Vi sète portato, con le spalle, da un Orlando, e avete fatto un gran resistere; non l’arebbon sofferte dieci asini