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atto terzo | 59 |
farebbe risuscitar i morti; una torta alla lombarda; con un vin prezioso di amarene che bacia, morde e dá calci.
Gulone. Ahi, traditore, mi cavi l’anima col tuo apparecchio: e’ par che mi tocchino la cima del fegado. Se con l’imaginazione ne godo, che sarebbe quando fussimo su l’atto prattico? e lo dici a tempo, che ho lo stomaco piú vòto d’una vessica sgonfiata, e il pulmone brusciato per la sete. Ma tu mi vuoi tirar dietro questo tuo cibo, come i mastri di caccia tirano gli astori e li falconi; però a te non mancherá di mangiare: ti darò alcune nespole, ché te le mangi per amor mio; e comincia ad assaggiarle, ché, per esserno un poco acerbe, non so come le manderai giú.
Trasimaco. Ah, furfante! genti a piè, genti a cavallo, soldati, centurioni, dove sète? Olá, para, piglia! paggi, staffieri: e quando sarai stracco?
Gulone. Ecco, son stracco e ti lascio.
SCENA IX.
Trasimaco, Trinca.
Trasimaco. Amico, son partiti?
Trinca. Sí, bene.
Trasimaco. E non ci è rimasto alcuno?
Trinca. Niuno.
Trasimaco. Mirate, di grazia, con diligenza.
Trinca. Niuno: ché tante parole?
Trasimaco. E vi paion parole queste? son tutte bòtte e gagliardissime e di gran carico.
Trinca. Veramente, carico delle vostre atlantiche spalle. Ma dove è la vostra bravura? come nebbia, il vento l’ha portata via, e s’è sparita.
Trasimaco. Fortuna cagnaccia! Orlando non volea combatter se non con un solo; e io aver cento assassini sopra!
Trinca. Non fu piú di un solo.
Trasimaco. Fur piú di cento con l’arme in asta.