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atto terzo 53


Pardo. Non ho tempo da spendere in chiacchiere.

Trasimaco. Fermatevi, dispetto di Marte. Si trattengono a ragionar meco la maestá di quel di Spagna e del Gran Turco, e voi non vi degnate ascoltarmi.

Pardo. Spedetela in brevi parole.

Trasimaco. Quanto v’ha detto di me quel furfante di Gulone, tutto è mentita.

Pardo. M’ha detto che sète un gran capitano e ricco e veritiero.

Trasimaco. E se fosse un par mio, lo disfidarei, nudo, con meza cappa, ad uccidersi meco in un steccato, che per manco d’un pelo ci son entrato cinquanta volte.

Pardo. Poco me se dá.

Trasimaco. E son cavaliero da tutti i quarti: cerchesi nel mio parentado, tutte son croci di Malta, di S. Stefano, di S. Giacomo e di Calatrava.

Pardo. Forse dubitavano che non li fusse pisciato adosso.

Trasimaco. E quando veniva a mangiar meco, ho fatto come son solito di far a’ miei squadroni: il pan a monti, i buoi a quarti, i capretti a squadre, il vino a botti: e se butta piú in casa mia, che non se ne vede in quelle de’ gran signori.

Pardo. Ben bene.

Trasimaco. E vo’ che veggiate che conto tengono di me i príncipi del mondo: ho pieno il petto, i calzoni e le valiggie di lettere che mi mandano. Ecco quella a punto del Gran Turco: All’illustrissimo e strenuissimo cavaliero, il capitan Trasimaco de Sconquassi, mio carissimo amico e generalissimo delle mie genti. Ecco quella del re Filippo: Al venerabilissimo e stupendissimo capitan Sconquasso de Sconquassi de Squassamenti, mio lugar teniente e general de’ miei esserciti. Ecco quella del re di Francia: Al mio amatissimo Colonello e Maestro, sotto il quale ho imparato la milizia. Ecco quella de’ veneziani e di altre republiche, ch’io non ne tengo conto; e io non son uomo di bugie, ma m’è cara la veritá.

Pardo. È tanto cara, che la serbate per voi; né ve ne cavarebbe una di bocca quante tanaglie ha il mondo.