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atto terzo | 43 |
Pardo. Le tue vesti?
Pedolitro. Me l’ho mangiate in Turchia.
Pardo. In Turchia se mangiano vesti?
Pedolitro. L’ho vendute e impegnate all’osterie per mangiare. Ma io mi rallegro che vi vedo piú allegro e giovane che non vi lasciai.
Pardo. Donde si viene?
Pedolitro. Da Costantinopoli, per riscattar questo mio figlio che da bambino mi fu rapito da’ turchi.
Pardo. E voi ancor ben venuto, caro figlio.
Pedolitro. Io rispondo in sua vece, che non sa parlar italiano: Che siate il ben trovato.
Pardo. Ho grande allegrezza che siate tornato salvo.
Pedolitro. L’allegrezza vi si raddoppiare, ch’io vi porto una buona nuova di lá.
Pardo. Che forse il turco non arma alla primavera, e non infesterá le nostre marine?
Pedolitro. Dico, buona per voi.
Pardo. Voi siate il ben tornato, portandomi alcuna buona novella.
Pedolitro. Costanza vostra moglie vi saluta.
Pardo. Che forse dall’altro mondo?
Pedolitro. Che altro mondo? io non so altro mondo che questo, né mai mi son partito di qua.
Pardo. A che innovellarmi la memoria e darmi questo dolore? ché mai mi ricordo della sua morte, ch’io non volessi esser morto mille volte. Costanza cara, io che fui cagion della tua rapina, son libero, e tu, per venir al mio comando, sei schiava. Oh, quanto la meritarci io la servitú che per me tu hai patito!
Pedolitro. Voi piangete la viva, come fusse morta.
Pardo. Come viva?
Pedolitro. Come la stimate voi morta? se non è morta fra duo mesi, che son di lá partito, ella è piú viva e piú gagliarda che mai.
Pardo. Ti fai beffe di me.