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40 | la sorella |
Trasimaco. Non me ne sazio, se non darò essempio a’ pari suoi, se non sarò un specchio a gli occhi di ciascuno. Non basterá il cielo a scamparlo dalle mie mani, ancor che fiammeggi di lampi, ancor che rimbombi de tuoni. Non so se fra tanto potrò sospender lo sdegno.
Trinca. Sará forse vostro amico?
Trasimaco. Non lo conosco. Passate innanzi.
Trinca. Non vorrei che v’adiraste meco.
Trasimaco. Dio te ne guardi, che caderesti morto.
Trinca. Ve l’ho dimandato, perché m’avete cera di capitano.
Trasimaco. Son cosí in fatti, come vi paio in ciera.
Trinca. E bisogno che rida, per non andar in pericolo di crepare.
Trasimaco. Di che ridete?
Trinca. Di nulla.
Trasimaco. So che non sète matto, che di nulla ridete; ditelo, di grazia, se pur qualche obligo non contende questa mia curiositá!
Trinca. Non è obligo di secretezza che possa impedirmi che non vi compiacessi; ma desidererei che non lo ridiceste ad altri, ché m’impediresti di non udir piú da lui delle sue castronerie.
Trasimaco. Che Marte sia irato con me, né mi dia forza di spopolar cittá, di sconfigere e disfar eserciti, se lo ridico; e perdonate alla mia curiositá.
Trinca. Egli l’onora di molti illustri titoli: d’un venerabil asino, e tanto grande, che basta per sei asini; di buggiardo, e che le veritá le tiene tanto secrete in corpo, che ci han fatto la ruggine; che non soffiò mai vento d’ambizione che non soffiasse in quel ballon del suo capo; e che nel tribunal della poltroneria, se si avesse a determinare chi fusse il magior poltron del mondo, senza dubio arebbe la sentenza in favore, perché basterebbe la sua poltroneria ad impoltronire tutti i poltroni del mondo; e che combatte piú con la lingua che con la spada...
Trasimaco. Benissimo.
Trinca. ... e che la sopraveste della sua nobiltá è un ragazzame. Dice che suo padre fu giudeo, sua madre lavandaia,