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atto quinto | 385 |
Giacomino. Ed ancora io voglio aver del grande: di cotanto perdono restarvene in tutta la vita obbligatissimo.
Limoforo. E vo’ che ancora voi abbiate del grande in perdonare a me, che abbi commandato a prendervi prigione; ché, or sapendo le rare qualitá che in voi sono, come gentiluomo di onor che sète, considerate che in cosa dove vi sia l’onore, non si porta rispetto a persona alcuna.
Giacomino. Ma che non fa amore? rompe le leggi, supera ogni difficoltá e fa che non si miri a nulla.
Limoforo. Capitano, lascia costui e lega quest’altro che, avendo usurpata la mia persona, per cotal mentita merita un degnissimo castigo.
Giacomino. Carissimo Limoforo, poiché avete perdonato la mia offesa, convien anco perdonar l’offesa di colui che v’ha offeso per mia cagione. Questo mio caro amico ha posto la vita e l’onor suo in periglio per aiutar me; il quale, per posseder per moglie la vostra amatissima figlia, m’ha servito per istrumento quando io avea posto in disperazione la terra per non perderla.
Limoforo. Poiché l’ingiuria che m’ha fatta è riuscita in mio grandissimo onore, e ho conosciuta la mia carissima figlia, come cagione della mia felicitá vo’ che se gli perdoni. Capitano, liberate quest’altro che vo’ che non solo sia libero ma che ancor mi sia carissimo amico, perché non è piccola cosa aver un tal per amico né aver un tal per inimico.
Pseudonimo. Io non so se tanto debbo vergognarmi delle cose passate quanto rallegrarmi delle cose presenti. Ma come potrò mai sciorme di tanto obligo dove oggi m’avete posto? Io me ne vo con un monte d’obligo sopra le spalle, pregandovi mi porga occasione di tormelo da dosso; mi parto.
Pedante. La dolcedine delle recensite parole di tutti m’hanno invaso di tanta tenerezza che giá succresce il foco che m’avevano acceso negli inflammabondi precordi.
Giacomino. Ma in tanti oblighi ch’io v’ho non isdegnate che vi s’accresca quest’altro, di venir a mio padre per impetrar da lui grazia ch’abbi passati e rotti i confini dell’obedienza,