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atto quinto 383


Lima. Limoforo Pignatelli, marito di Cleria mia padrona, il qual avendolo stimato morto col suo figlio, ho sempre onorata la sua morte con molte lacrime.

Pedante. Dii boni, quid audio? or in me regresso conosco che son stato deluso.

Limoforo. Ecco che mentre piú ti raffiguro, ti vedo nel fronte il segno di quella ferita che ti fe’ Cleria mia moglie, quando ti cadde Aurelia di braccio. Ma dimmi, nuovo Limoforo, come si chiamava il marito di Lima?

Pseudonimo. Che imperio avete sopra di me, che sia costretto a rispondere a quanto mi dimandate? Non me ne ricordo.

Limoforo. Tu non lo pòi sapere, che mai conoscesti Lima né Limoforo. Ma dimmi, Lima, non ti trovò mia moglie a giacere con Barbetta nostro famiglio, e con un bastone ti fe’ quella ferita ch’hai nella mano, ti cacciò di casa, e poi a preghiere d’amici fosti ricevuta? Questi secreti li sa questo tuo Limoforo?

Pseudonimo. Non mi ricordo di tal cosa.

Limoforo. Mostra la ferita ch’hai nella mano.

Lima. Non vo’ mostrare le mie carni a persona del mondo.

Limoforo. Non eri cosí quando eri giovane: che mirandoti solo alcuno, prima che te lo chiedesse, ce le mostravi; e le tenevi coperte solo perché le mosche ti davano fastidio.

Lima. Non so quel che vi diciate.

Limoforo. O Cielo, che non mi par di creder quel che veggio né di creder quel che è vero; e pur mi sento morir di desiderio di veder mia figlia.

Antifilo. Lima, chiama la tua figliana.

Pedante. Io tremo nel meditullio del mio core per tanti inopinati accidenti d’oggi. O Giacomino malus, o Cappio peior, o Pseudonimoforus pessimus! O quam malum est habere foeminas pulcherrimas in domo!