Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/391


atto quinto 381


Pedante. Se fussimo al tempo di Pittagora, che diceva che morendo uno l’anima di quello transmigrava in un altro, io direi che costui fusse morto e l’anima sua passata nel tuo corpo; ma questi è vivo.

Limoforo. O tu sei me o io son te.

Pseudonimo. Io son quello che fui sempre, né fui mai te.

Limoforo. Quanto voi avete detto di voi, tutto è impossibile.

Pseudonimo. Come impossibile, s’è stato, è e sará sempre?

Pedante. (Hem, quid audio?).

Antifilo. (Che dite voi di questo fatto, il mio caro maestro?).

Pedante. (Quid dicam vel quid cogitem, nescio. Dubito sia un paradosso di furfantaria, e noi restaremo condennati alle spese. Se fosse stato un avocato, non arebbe potuto dir tante bugie in un attimo).

Antifilo. (Oimè, dubito che Altilia d’innamorata mi diverrá sorella!).

Pseudonimo. Io son calato giú per farvi grazia.

Limoforo. Anzi, per mia disgrazia. Volete voi saper chi sète, volete che ve lo dica?

Pseudonimo. Io so ben chi sono, né bisogna che mi sia detto.

Limoforo. Tu non sei Limoforo; ma vorresti esserci per ingannar me, che sono il vero Limoforo.

Pedante. Tarde venisti, domine.

Pseudonimo. Son venuto molto presto, piú che aresti voluto; e mal per voi.

Limoforo. Tu veramente sei un furfante, un truffatore.

Pseudonimo. Voi molto vi discomponete verso di me.

Limoforo. Perché n’ho ragione.

Pseudonimo. Che ragione?

Limoforo. Che per tormi la figlia, m’hai occupato il nome e l’esser mio.

Pseudonimo. Ed io questo medesimo dirò di te.

Pedante. Mira che viso invetriato! Tu sei un spurio e adulterino Limoforo.

Limoforo. E ti basta l’animo di negarlo?