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380 la tabernaria


Limoforo. Come le perdeste?

Pseudonimo. Essendo la peste in Napoli, m’appestai io, la moglie e il figlio, e fummo strassinati al lazaretto; restò la casa sola; morí la moglie e il figlio. Tornando in Napoli trovai la casa vuota di uomeni e di robbe; mi ricovrai in Sorrento, né piú mai ebbi contezza della figlia o della balia.

Limoforo. (Questo è un altro me; anzi se ricorda delle cose che non me ne ricordo io). Ma ditemi un poco, come si chiamava la moglie?

Pseudonimo. Cleria.

Limoforo. Il figlio?

Pseudonimo. Antifilo.

Limoforo. La balia?

Pseudonimo. Lima.

Limoforo. Di che tempo era la figliuola?

Pseudonimo. Di duo in tre anni.

Limoforo. Avea alcun segno la figliuola nella persona?

Pseudonimo. Una ferita nella man sinistra che si fe’ cadendo dalle braccia della balia; e una macchia rossa, nella mammella destra, che diceva essere una gola d’una cirieggia della madre.

Limoforo. Dico che a puntino accadde questo a me nel tempo della peste di Napoli; e quanto tu hai detto di te stesso, tutto quello son io. Io Limoforo Pignatello di Surrento, io m’appestai con la moglie e il figlio: morí mia moglie, restò la casa sola con Aurelia e la balia Lima; e guarito, tornando trovai la casa vuota e sbaliggiata e mi ricovrai in Surrento; e la figlia avea quella ferita e macchia ch’hai tu detto. O che tu sei diventato me o che io son diventato te.

Pseudonimo. Io son quello che fui empre, né son altro diventato.

Limoforo. Forse ci siamo scambiati insieme.

Pseudonimo. Mai viddi uomo tanto simile a me che mi fusse scambiato in lui.

Limoforo. Forse siamo un’anima in duo corpi?

Pseudonimo. L’anima mia stette sempre con me, né si partí mai dal corpo mio per animarne un altro.