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366 la tabernaria


Lardone. Come v’ho detto.

Pedante. Saran giá venuti all’illecebre amorose, agli amplessi cupidinei e a’ bagi desiderati! Come farem dunque per riconoscerla?

Limoforo. Poiché non potiamo entrare nell’altrui case senza licenza del Regente, andiamo, informiamolo del fatto, ché ne doni licenza d’entrare in casa sua e porgli le mani adosso.

Lardone. Andiamo a dormire.

Pedante. Abbiam piú voglia d’uccidere che di dormire.

Lardone. Giá s’è dato fuoco alla mina; poco stará a scoppiare e far andar per l’aria l’inganno di Giacomino, se Cappio non rimediará con alcun’altra contramina.

SCENA V.

Giacomino, Pseudonimo.

Giacomino. Tu sai, Pseudonimo mio, se mi son sempre affaticato ne’ tuoi commandi; né mai ne feci tanti che non mi fosse restato desiderio di farne de maggiori.

Pseudonimo. Né io ho cessato di ricevergli, perché ho sempre avuto desiderio de riservirceli: ché colui che rifiuta i servigi mostra che non si diletta di farne ad altri; ed io resto vinto da tante cortesie, e tanto piú mi sono stati cari quanto che gli ho ricevuti senza dimandargli.

Giacomino. Ricordatevi ancora.

Pseudonimo. Non bisogna rammentarmi i benefici, né tanti prieghi né tante parole, di forza che mi spingano piú degli oblighi che vi debbo.

Giacomino. E sempre dove conoscerò servirvi, ancorché v’andasse la vita, non mancarò mai.

Pseudonimo. Queste vostre tanto amorevoli offerte le pagherò ben io con piú efficaci operazioni.

Giacomino. Ed or avendo bisogno di fidarmi d’un amico per tormi dinanzi l’ostacolo di Antifilo, ho eletto voi fra i piú cari; poiché in voi concorrono tutte quelle parti che sono neces-