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atto quarto | 363 |
Giacomino. O vita mia, se ti ho amata figlia d’un maestro di scola, quanto or debbo amarti figlia d’un gentiluomo! E veramente i costumi non m’hanno ingannato, che di gran lunga avanzano ogni nobiltade.
Cappio. Non si perda piú tempo: andiamo al Cerriglio e cerchiamo questo futuro nuovo Limoforo.
Lima. Giacomino mio, vi raccomando la mia figlia.
Giacomino. Non bisogna raccomandare a me le cose mie né l’anima al suo corpo. Cappio, batti la porta.
SCENA III.
Tedesco, Cappio, Giacomino, Altilia, Balia.
Tedesco. Chi stare quelle grande asine che battere le porte delle mie ostellerie con tanta furia?
Cappio. Son io; apri.
Tedesco. Avere detto bene che stare un grande asene.
Cappio. E tu arciasino ad aprire.
Tedesco. Mi patrone, che comandare Vostre Signorie?
Giacomino. Tedesco mio, m’hai da fare un piacere di che non ti pentirai.
Tedesco. Eccomi a vostre piacere.
Giacomino. Vien questa gentildonna con la sua balia ad alloggiar nella vostra osteria; vorrei che ti fosse raccomandata come la mia propria vita.
Tedesco. Cheste stare poche servizie.
Giacomino. Poi quando verrá suo padre a dimandarla, dirai che dall’ora che l’ha lasciata in quest’osteria, hanno aspettato tutta la notte senza cena e senza sonno.
Tedesco. Sue padre esser state cheste notte a mie ostellerie, e mi aver risposto che non stare alogiate in case mie.
Giacomino. E questo è quel piacere che ricerco da te, che dichi una bugia per amor mio; e per questo piacere togli questo scudo e, riuscendo bene il negozio, da questo principio conoscerai se saprò remunerar bene il fine.