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SCENA II.
Giacomino, Altilia, Lima, Cappio.
Giacomino. Anima mia, quanto la fortuna ci è stata favorevole in avervi condotta a casa mia, tanto poi voltandoci le spalle n’è stata disfavorevole, facendo venir mio padre da Posilipo e trovar la sua casa fatta taberna, e venir poi lo spagnolo, poi venir vostro padre. Giá avete visto il contrasto col mio padre. Noi per ovviare a questo disordine avemo concertato condurvi al Cerriglio; e faremo che l’oste dica che voi tutta la notte avete aspettato il suo ritorno.
Altilia. Vita mia, potrete commandarmi e dispor di me come di cosa vostra; solo vi priego m’adempiate quella promessa che per vostra buona grazia m’avete fatta con quella volontá e prontezza con la quale ho adempita la mia, e considerate quanto mal stanno insieme amore e ingratitudine.
Giacomino. Sappiate, signora, che voi sola sète l’oggetto d’ogni mio pensiero, e che il vostro cuore è nel petto mio come il mio nel vostro; e son fatto tanto suo che non spero esser mai piú mio, né possedendo voi, curo di posseder piú cosa al mondo. E pensando che ho da star questo poco di tempo senza voi, mi sento svellere il cuore dalle piú interne viscere del mio petto. Sia per me maledetta quell’ora e quel ponto che, stando senza voi, mai pensi ad altro che a voi.
Altilia. Vi ricordo che l’amor de’ giovani ha per fine il diletto de’ loro amori, e che conseguito l’effetto svanisce l’affetto.
Giacomino. Altilia, vita dell’anima mia, se ben ho avuto sempre l’anima e gli occhi invaghiti della sua nobile sembianza, ho sempre riverita l’onestá, i costumi e le rare sue qualitadi, e considerato che nell’amore non è piú stretto ligame che la conformitá de’ costumi. Or queste qualitá fanno che conseguito l’effetto, piú vien sempre a crescere l’affetto.
Altilia. Io non merito d’essere amata né per bellezza né per raritá di costumi, che in me non sono, ma perché v’ho amato con tutta la tenerezza dell’anima mia: perché non son