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atto secondo | 27 |
e tornare a riempirlo. Almeno ci avesse una apertura nel ventre, che si aprisse e serrasse con bottoni come le vesti, ché, dolendoci il ventre o essendo troppo pieno, potessimo guardar che cosa sia dentro, e poi tornar ad affibbiarlo. A me par che sia stata benignissima madre agli animali, perché ha fatto al bue, alla capra e agli uccelli una saccoccia alla gola, ché il cibo ingoiato si riceve in quella, e dopo mangiato ruminano quel cibo, e mangiano di nuovo, e si trattengono tutta la notte. Or non potea farne un’altra all’uomo? accioché, trovandosi a mangiar ne’ tinelli, dove per la fretta bisogna tranguggiare i bocconi senza masticargli, poi quando fussimo a casa, li potessimo ruminar di nuovo? Ha fatto al Gulone un budello largo e breve, che, quando è ben satollato, passando per mezo a dui arbori stretti, scarica il cibo da dietro, e poi torna a satollarsi di nuovo? Non poteva la natura farmi una bestia come queste? darmi fame di lupo, bocca di rana, pancia di rospo, collo di grue, denti di cane, due lingue di serpe, stomaco di sturzo, che bevesse come cavallo, dormisse come ghiro e cacasse come una vacca?
SCENA II.
Trasimaco capitano, Gulone.
Trasimaco. Riniego Marte, se non t’ammazzo; ché ti son gito cercando per tutte l’ostarie, dubitando che non fossi restato in pegno, per riscattarti.
Gulone. M’hai interrotto un discorso che facea contro la natura.
Trasimaco. La natura fu sempre tua nemica, e sempre le fosti contrario.
Gulone. Come uomo di poco spirito, non posso penetrar nella grandezza e magnificenza sua, né toccarne il fondo.
Trasimaco. Nascesti col cervello a roverscio, però tutte le tue cose vanno al roverso: schivi le cose straordinarie e ti servi del snaturale. La forca che ti appicchi per la gola!
Gulone. Appicchimi per dove vole, ma non per la gola: la vo’ intiera e sana per me.