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ATTO IV.

SCENA I.

Giacomino, Cappio.

Giacomino. O Cielo, che soave dolcezza, che ineffabile armonia può trovarsi in questa vita che due cori congionti in un sol core, due vite in una vita e due alme in un’alma d’un reciproco amor congionte, dopo tante pene, lacrime e tormenti, giongere a quel da loro tanto bramato bene? O diletto indicibile, o soavitá eroica, o piacere che supera e avanza ogni altro piacere e diletto! Deh, ch’io non posso trovar parole con le quali possa esprimere cotanta gioia! O veramente felici e ben avventurati coloro che giongono a tanta altezza di gioia! Misero me, che avendo gustato tanta dolcezza e accesomi in tanto incendio intorno al core, come potrò mai vivere senza lei? ché essendo d’un cor congionti insieme, d’un’alma e d’una fede, tanto sarebbe separar l’un dall’altra quanto l’uno e l’altra viver senza la vita. Disporrò quanto posso mio padre; e vedendolo ostinato a non voler compiacermi, alfin farò a mio modo. Doppo l’effetto mi disse piangendo: — Vi raccomando l’onor mio! — O che mirabile effetto è quello che fan le lacrime delle donne ne’ cuori degli amanti. Gli risposi: — E come posso io compensar tanta liberalitá con tanto onore, con che voi stessa concessa m’avete e la persona e l’onor vostro, se non con l’atto del matrimonio? — Veramente la natura delle donne è tanto dolce che, per duro che sia un cuore, lo fa subito tenero e liquefare in lacrime. Ma par che mi senta un messo nel cuore, mandatomi dal mio continuo pensiero, che dice che speri bene.