Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto terzo | 355 |
Pedante. ... Sedendomi appresso, questa mia venerabil toga ti onorerá e ridonderá in tua gloria, che mai dall’edace tempo ti fia consumpta.
Lardone. O Cielo, che mirabil nuovo genere di pazzia ave occupato il cervello di costui! Non è piú dolce boccone che beccarsi il suo cervello.
Pedante. Parli da quel che sei, cioè una bestia; e io sono una bestia, che d’un asino vogli farlo diventar cavallo. Il dedecore m’ha transverberato il core. Ma ricogliamoci in qualche luogo e dormiamo insino a giorno.
Lardone. Or questo no.
Pedante. Lasciami dire.
Lardone. Non voglio ascoltare.
Pedante. Nil melius sobrietate.
Lardone. Nil peius affamatione.
Pedante. Io non intendo questa tua grammatica.
Lardone. Né io la tua.
Pedante. Dimmelo in volgare.
Lardone. Non si trovano parole per dichiararlo.
Pedante. Se vuoi rispondere ad ogni cosa, non finiremo questa notte. Ma sta’ di buona voglia.
Lardone. Come posso, morendo di fame, star di buona voglia?
SCENA X.
Limoforo, Lardone, Pedante, Antifilo.
Limoforo. Sento lamenti.
Lardone. È segno ch’hai orecchie.
Limoforo. È segno d’uomo sconsolato. O uomo da bene!
Lardone. Questo nome di uomo da bene non fu mai in casa mia, e io sono il primo di questo nome.
Limoforo. Consòlati.
Lardone. Come può consolarsi chi non ha niuna speranza di consòli?