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354 la tabernaria

prencepi, re e imperatori, e appena se ne curano; perché vuoi curartene tu?

Pedante. Chi son questi reggi e imperadori?

Lardone. La regina Didone, come ho inteso da voi leggere a’ scolari.

Pedante. Mente per la gola Virgilio, mente e rimente per guttur quante volte lo vuol dire overo l’è passato per la fantasia: ché Didone fu una regina onorata, né mai si ritrovò a solo a solo con Enea in quella spelonca; e io lo vuo’ mantenere con lo filo e la punta della penna contro qualsivoglia letterato che lo voglia dire.

Lardone. Poco importa questa disfida alla mia fame, e ad ogni parola fare una disputa.

Pedante. Il parlar teco troppo familiare causa il minuspretio: omnis familiaritas parit contemptum; ma sempre che parlerai meco senza licenza, vuo’ cavarti un dente.

Lardone. Vorrei piú presto perdere un diamante che un dente. Ma io merito questo e peggio. Venir da Salerno a piedi a preparare l’alloggiamento, e restar con una bocca secca come avesse mangiato presciutto!

Pedante. Te hai bevuto un semisestante di vino e mangiato tanto. Ti par poco onore mandarti al «senatus populusque romanus» a fargli intendere che viene il primo letterato di questo secolo a far reviviscere e repullular le ossa giá incenerite e far sorgere dalle tombe i Varroni, i Ciceroni, i Salusti e i Cantalici e gli altri grandi nella greca e latina lingua; e aprir un luculentissimo gimnasio? ...

Lardone. E che sapete ben correre alla quintana.

Pedante. ... Sederai meco a tavola, beverai al mio bicchiero e del vino che bevo io, e seraimi compagno nello Studio: questo onor ti fará glorioso fin alla fin del mondo. ...

Lardone. Io non ho bisogno ingrammaticarmi; e questi onori dálli ad altri che li desiderano; ché io vuo’ piú tosto mangiarmi una cipolla, una radice e ber vin che senta di muffa, quando ho appetito, e a mio modo, e dormir solo in terra e trar corregge a mio modo; starei piú tosto in galea che nel tuo Studio.