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atto terzo | 353 |
Pedante. Il tuo male con una ricetta si guarirá.
Lardone. E quale?
Pedante. «Recipe due capponi, l’uno arrosto e l’altro boglito, cento ova dure, due rotuli di carne di vitella, un piatto di maccheroni; pongasi in una pignatta e boglia a sufficienza; quattro fiaschi di vino: et fiat cibus et potus».
Lardone. Con manco di questo si guarirá il tuo male. «Recipe colla di carniccio, bianco d’un uovo, un poco di litargirio; faccisi impiastro con stoppa di cánnevo; pongasi sopra la rottura e subito consolidarassi».
Pedante. Da questa massima ne segue: ho perduto la figlia, ergo, igitur, è stata violata; e io ne resto disperato.
Lardone. Disperati son quelli che l’han trovata; ché subito gli verrá in fastidio, che doppo il fatto, se avessero il pozzo appresso, ce la buttarebbono dentro, ché non è peggio mercanzia che di femine.
Pedante. Ti par poco essermi tolta una figlia?
Lardone. Ti par poco esser restato io senza mangiare e senza dormire, che non sarebbe altro che sotterrarmi vivo?
Pedante. Perché sei un forfante che ad altro non pensi che mangiare.
Lardone. Come si parla di mangiare e di bere, sono un forfante; come non darmi da mangiare e bere, son piú che fratello carissimo.
Pedante. Ti vorrei attaccar la bocca con una cannella piena di vino e lasciarti bere fin che crepassi; e dire: — Vinum sitisti, vinum bibe.
Lardone. O che crepar dolce!
Pedante. Il furto della figlia a chi «habet acetum in corde» importa l’onore.
Lardone. Lo star senza mangiare importa la vita, che è piú dell’onore: si può vivere senza l’onore, ma non senza mangiare. Da questo mondo non se ne ave altro se non quanto ne tiri con i denti.
Pedante. Ergo, igitur, absque dubio, poco importa l’onore.
Lardone. Le leggi dell’onore son fatte per i cavalieri e