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348 | la tabernaria |
Giacoco. Ca bole da me sto sfecato sfritto varvaianne, co sta faccia gialliccia nzolarcata, co ss’uocchi scarcagnati ntorzati, co sso naso mbrognolato fatto a pallone, co ssi labruni da labriare co no zuoccolo? Mira ca vestiti scialacquati, ca a vedello me fa ridere senza che n’aggia voglia. Se stai mbriaco, va’ vommeca e non me rompere la capo.
Pedante. O mi Deus, ha rotta una spalla a Prisciano. Dic, quaeso, diceremus bene: «la capo»? «La» est articulus foeminini generis, «capo», masculini; discordat in genere; bisogna dire: o «lo capo» o «la capa».
Giacoco. Giá chisso sbaría; manche se fosse no piccirillo della zizza, parla allo sproposito.
Pedante. Io non parlo allo sproposito, se de miei detti ne farai congrua collazione.
Giacoco. Siente, ca vo fare collazione. Vorrisse doie ióiole o doi scioscelle?
Pedante. O che parlare absurdo e mal composto!
Giacoco. Mò vole no poco de composta de cetruli.
Pedante. O che supina ignoranza, che intelletto rude e agreste!
Giacoco. Non te l’aggio ditto ca vole composta d’agresta?
Pedante. Dii immortales, ubique sunt angustiae!
Giacoco. È lo vero ca a Vico so ragoste.
Pedante. Dov’è quel teutonico che mi ricevé prima in questo ospizio?
Giacoco. O che arraggie, che tante tente tonte! Tu sbarii, poveriello.
Pedante. Dico «teutonico», cioè germano, idest todesco. Germani sunt Germaniae populi, e sono detti «teutonici» dal lor dio detto Teviscone.
Giacoco. Che ne volimmo fare nui de ssi chiáiti? chi t’addomanna chesse cincorane?
Pedante. Se non mi trovate la mia figliuola e la balia, tanto vociferarò che i miei stridi giungeranno ad astra coeli.
Giacoco. In casa mia non c’è astraco né astraciello.
Pedante. Io lasciai qui mia figlia per arrabone.