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atto terzo | 337 |
sembianza degli occhi vostri, e le perle delle marine conche tanto han di preggio quanto rassembrano i vostri denti; l’odori de’ gelsomini tanto son grati quanto rassomigliano al vostro fiato. O occhi sereni, ove il cielo fa deposito delle sue stelle e dove conserva i suoi splendori!
Altilia. L’amor vi benda gli occhi e vi fa parer il falso per il vero.
Giacomino. O care mammelle, o acerbetti pomi, e quando mai negli orti esperidi si produssero pomi cosí leggiadri, custoditi con tanto rigore dal vigilante dragone? Io moro considerando quella valletta fra quei due pomi, oggetto di tutti i miei pensieri, nido dell’anima mia; or che saran l’altre cose che non si vedono?
Altilia. Mangiate; non sète ancor sazio di mirarmi?
Giacomino. Ancor non ho cominciato, perché non so da dove incominciare a rimirarvi. Perché se miro il terso avorio della fronte, gli occhi mi rapiscono a riguardargli; se mi fermo negli occhi, mi sento invitar dalle gote a contemplarle; e appena mi drizzo a mirar quelle, la bocca mi strascina a contemplar i rubini de’ suoi labri; e se rimiro il collo, ecco mi tirano le mammelle: talché confuso e stupefatto non so da dove cominciare. E come potria esser questo, se voi non foste stata fatta dalla natura con tutto il suo studio d’impoverir tutte le donne per arricchirne voi sola, e per contemplar le sue gran meraviglie e quanto ella sa fare? Onde non potrete esser tanto mirata che non siate tanto piú degna d’esser mirata e admirata. E se non posso lodar quanto devo, supplisca l’affezione.
Cappio. Paggio, che fai che non porgi da bere?
Altilia. Bevete, cor mio.
Giacomino. Io non beverò mai, se voi non bevete prima e lasciate ch’io suchi quelle reliquie che son rimaste in quella parte del bicchiero ove han toccato le labra vostre, acciò con quelle io possa rinfrescar l’arsura dell’anima mia.
Altilia. Però, anima mia, ho pregato voi prima che beveste, per aver io quel contento e provar io quella dolcezza che voi da me desideravate.