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334 | la tabernaria |
solo m’ha sostenuto in vita, e fra cosí dolci inganni ingannando me stessa, ho passata la vita mia; né so che altro rispondervi che tutte le parole che devrebbono uscir dalla mia bocca, tutte escono dalla vostra.
Giacomino. Che dici, o fedelissima ministra de’ nostri secreti amori?
Lima. Che il Cielo stringa e conservi stretto cosí bel nodo d’amore, che non sia per sciorsi giamai.
Giacomino. Non si sciorrá ben certo, ché non è il maggior ligame nell’amore che la somiglianza de costumi; onde il nodo è cosí strettamente ordito per le mani d’Amore che non bastare sciorsi dalla morte.
Lima. Ma poiché sète patti e contenti, ricevete l’un dall’altro il premio di tanto amore.
Giacomino. Ma perché trattengo me stesso, dove la voglia mi sferza e mi sospinge?
Cappio. A me par sciocchezza perdere il tempo in belle parole, che si potrebbe spendere in uso piú desiato e gradito: avete poco di tempo, e quel poco che avete ve lo torrá il ritorno del mastro or ora.
Lima. Giacomino, ve la do in podestá: vi prego a serbar con lei quel decoro che si conviene alla qualitá vostra e al suo onore.
Giacomino. Anima mia, dal tempo che v’ho amata, v’ho amata sempre da sposa, che tal mi pareva che meritassero le vostre parti; io per sposa v’accetto se ne son degno.
Lima. Or andate a riposarvi, o bella coppia d’amanti e sposi.
Cappio. Anzi a faticar piú che mai.
SCENA VI.
Lima, Cappio.
Cappio. Lima, quei si vanno a godere, e noi vogliamo qui far la saliva in bocca?
Lima. Il tuo amore è come quello degli asini, che non dura se non la primavera; ma dimmi, che hai apparecchiato per darmi?