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330 | la tabernaria |
de mostacci ammolliti nel detto liquore, perché ti servirá per una seconda bevuta, per un sciacquadente.
Pedante. Presto, che stai addormentato sul bicchiere.
Lardone. Metti pian piano il vino, di grazia, per vita tua, ché vorrei piú tosto sparger tutto il mio sangue che n’andasse una goccia per terra. Questo è vino d’una orecchia.
Pedante. I vini dunque sono auriculati?
Lardone. «Vin d’una orecchia» è quello che è eccellente, che quando l’hai bevuto, va in testa e inchini la testa sopra alla spalla; ma quando si scuote la testa dall’una parte all’altra, è segno che non val nulla. Oste, poni dell’altro vino.
Pedante. Che rumore è questo che fai con la gola, glo glo, quando ingiotti?
Lardone. Lo fo accioché il vino cali a poco a poco; e quel «glo glo» son le trombette, i pifari e i tromboni con i quali io l’onoro. Questo come si chiama?
Cappio. Malvasia.
Pedante. Lascia questo, ché il nome t’addita che è malvaggio.
Lardone. Anzi il contrario; ché «malvasia» non dice che sia malvaggio, ma dice: «mal, va’ via», perché egli ti pone la sanitá nel corpo. E questo?
Cappio. Lacrima.
Pedante. Cattivo augurio: annunzia lacrime e pianto.
Lardone. Dicesi «lacrima», ché per la sua gagliardia ti fa venir le lacrime agli occhi.
Pedante. Lardone, vorrei che tu libassi i vini e non ne ingurgitassi nella voragine del tuo ventre le cotile, le exabasi, gli acetabuli, i gutturni, i cantari, l’anfore, le paropsidi e i ceramini intieri intieri: hai bevuto per sei tedeschi.
Lardone. Lasciamo «quae pars est» e nomi da scongiurar gli spiriti.
Pedante. Tutti son nomi significativi ch’esprimono le forme di quei vasi. Oste, hai tu del cecubo, dell’amineo e de’ «spumantia vina Falerni»?
Cappio. Non intendere vostre linguagie.