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24 | la sorella |
trangugia; non beve, ma tracanna, ingorga e fa grondare il vino nello stomaco; che noi appena cominciamo a scaramucciare, ch’egli ha finito il fatto d’arme, che par figlio della fame, padre del diluvio, nipote della carestia, e pone tanta robba in una volta in quella sua voragine, quanto basta una settimana in casa mia: par che la fame ce l’abbia inviato per castigo della casa mia.
Trinca. E dice queste e altre cose.
Pardo. Che altre?
Trinca. Mi vergogno di dirle.
Pardo. Dille in tua malora, che mi fai venir la rabbia.
Trinca. Dice che patite di non so che infirmitá di stomacali, e che ci avete tanto prorito, che andate cercando chi ve li gratti.
Pardo. Mente e stramente per la gola.
Trinca. E dice averlo inteso da molti.
Pardo. Mente per l’orecchie.
Trinca. Ed egli conosce all’odore esser cosí.
Pardo. Mente per lo naso.
Trinca. E che lo stima esser verissimo.
Pardo. Mente per lo cervello. E tu non sai che ciò è una bugia?
Trinca. E per questo è un ribaldo, perché dice quello che non fu mai; e il peggio è, che le genti lo credono, perché lo veggiono pratticare tanto domesticamente in casa vostra, che possa sapere i vostri secreti.
Pardo. Lo castigherò ben io.
Trinca. Gulone è come il canchero che, quanto meglio lo nudrite, piú incancherisce e infistolisce.
Pardo. Che rimedio ci sará?
Trinca. Quello degli infranciosati: con una dieta di pane e di acqua per quaranta giorni, che lo consumi la fame e la sete in fin all’ossa. Come se li manca la biava, andrá via. Però torniamo a noi. È troppo gran peccato dar cosí degna figlia a quel cervellaccio che riesce cosí cattivo per ogni banda.
Pardo. La vuol senza dote, e il maritar una figlia senza dote è qualche cosa: l’ho riscattata da’ turchi e, or volendole dar dote, sarebbe un riscattarla di nuovo.