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328 la tabernaria


Altilia. Oh che gentil Napoli! veramente piú bella e piú magnifica assai di quel che il mondo ne ragiona. Questo è il perpetuo nido di gentilezza, la reggia d’Amore che ha lasciato il suo Cipro per abitare in Napoli; questo è il palaggio delle grazie, riposo de’ miei pensieri, ricetto delle mie speranze. Oh, come par che qui il sol piú chiaro risplenda che altrove! oh, quanto goderebbe il cor mio se non avesse a partirmi di qui mai!

Lardone. Oh come biancheggia il grasso in quei quarti di vitella! oh come gialleggiano quelle groppe de capponi, e come corporeggia quel rosso su le liste del bianco in quei presciutti, come carboneggia quel nero fra quelle reti di fegatelli, come pavoneggiano quelle provature fra quei riccami di salsiccioni!

Pedante. Oh tu come asineggi e bufaleggi fra queste tue ingordigie!

Lardone. O fegadelli, trofei della mia fame! o salami, spoglie de’ miei trionfi! o ricotte, o provature, gloria delle mie vittorie! o porchetta, come ti darei la man dritta passeggiando meco!

Pedante. Oste, oh con quanta venerazione venemo a te lietabondi e gratulabondi!

Lardone. Domine magister, e io affamabondo e bibebondo!

Cappio. Ben venute le Vostre Signorie! par di vere ca mi voler far scazzar: ponere le cappelle en teste. Ma mi nit intender quel «famabonde» e «bibebonde».

Lardone. Dico che vengo per disfamare l’affamata affamatagine del famoso mio affamamento.

Pedante. Oste, nomina desinentia in «bondo» significant at tum come «moribondo» e «gemebondo», cioè, idest cum maxima voluntate moriendi et gemendi.

Lardone. Quanto dice in gramuffa, tutto viene dalla saviaggine e dalla sua litteratumma.

Pedante. È questo il xenodochio del Cerriglio?

Lardone. Domine ita, non videbis quantum fegadellos, pullos, picciones e salsicciones?

Pedante. Lardone, andiamo per i supellettili.

Lardone. Domine nonne; bisogna prima assaggiare i vini, apparecchiarsi da cena, e poi tornare a dietro per le robbe.