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326 | la tabernaria |
Spagnolo. Almeno una minestra de garvansos.
Giacomino. Vuole una minestra di canevaccio. Andate alle botteghe di tele, che arete canevaccio quanto volete.
Spagnolo. Vos quereis que os quebre la cabeza.
Giacomino. Vuole la capezza dell’asino. E che ti vuoi appiccare? Va’ in un’altra taberna.
Spagnolo. Yo non me partiré de aquí, si me echasen todos los diablos del infierno. Si pongo mano á la espada, en dos golpecillos, chis chas, haré pedazos cuantos bodegones hay en todo el reino de Napoles.
Giacomino. Cappio, caccia costui, ché un trattenimento tale non è bon per noi.
Cappio. Se non vuoi partirti in buon’ora, te n’anderai in malora per te.
Giacomino. Cappio, chiama quei smargiassi forastieri che alloggiano di sopra, ché diano quel castigo a costui che merita.
Spagnolo. Con un tajo ó un rebés haré mil pedazos á cuantos quisieren echarme de aquí.
Cappio. Vado a chiamarli.
Giacomino. Camina presto.
Spagnolo. Y llama todos los bandoleros de Flandes y todos los diablos del infierno, que de todos haré un monton.
Cappio. O buon Dieu de Grandazzo, o diavolo de Paliermo, chi è cheddo cornuto, caparrone, viddano, pezziente, che mi va facendo lo giorgiu? ca se nesco fuori, co no pontapiede lo ietto sopra li ciaramiti. Taliate, quante parole ha sto beccu castratu, moneluso. Sto iannizzo battiam; aspetta no morziddu, ca pe ll’arma de patremu e de chi me figliau — e sia acciso, se me meno la chiavetta, lo sandali e lo guardanasu — piglio lo broccoliero e scindo a bassu, li scippo entrambu gli occhi e metteceli in mano, le sgangerò le corna e li scippu la lingua pe lo cozzu, con chista daga ienzo la stanza delle carne soie! E che pensi ch’haiu lo fecatu blancu come a tia, che te vuoi accoteddare co no canazu morretuso, fidenti? Non me tenite! Vostra Signuria me perdugne; ca se m’aspetta na picca, le scareco na coteddata che le taglio le nasche e le gambe co no cuorpo!