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atto primo 23

strada. E se ben si vanta che sia stato colonello e generale di esserciti, credo ch’adesso non servirebbe se non per lancia spezzata.

Pardo. S’inchina assai volentieri a questo.

Trinca. Di ciò statene sicuro, sta l’importanza nel potersi drizzare.

Pardo. È ricco.

Trinca. Sí, d’anni; ma povero di robbe e di cervello, puzza di fallito, e ogni giorno piglia dinari a perdita; e se ben s’ha consumato tutto il suo patrimonio a dadi, non consumará certo il matrimonio con vostra figlia. Con quelle sue bravarie se vuol smaltir per quel che non è. Si pasce d’aria e vive di ruggiada come le cicale, mangia a tavola con la gloria e ambizione, e, essendo un becco, si vuol servir di vostra figlia per una vacca. E per mantener quel fumo del suo camino, quando ella non consentirá, con una furia di bastonate le fará far quel che vuole; talché mangiare sempre piú bastonate che pane.

Pardo. È gentiluomo.

Trinca. Di casa Capodicervo, che ha piú come in capo che capelli; suona di cornamusa, e s’udiranno per tutta Nola il suono de’ suoi cornetti.

Pardo. N’ho buona informazione dal parasito: ne sta innamorato. Di che ridi?

Trinca. Non rido che stia innamorato; ma chi si vuol innamorar di lui? E poi date credito a quel furfante, feccia d’uomo: li servirá per ruffiano a condurgli gli uomini a casa. Senza che, va dicendo mal di voi per Nola, che sète un pidocchioso; e fa le croniche della miseria di vostra casa: che sempre bevete il vin che si guasta, e, prima che finiate di ber quello, cominciate l’altro che si guasta; e che, quando viene a mangiar con voi, lo fate stentar in aspettar fino a mezogiorno; e che s’alza da tavola piú vòto che quando ci venne. Talché voi non l’invitate a mangiare, ma a digiuno, vigilia e penitenza.

Pardo. Mira furfante, che si pone in bocca certi pezzi massicci di carne e certi bocconi tanto stravagantemente grandi, che non se li può voltar per la bocca, e li trabocca giú come li mandasse in una cloaca, e con tanta furia che non mangia, ma