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296 la fantesca


Panurgo. (Che ti sia cavata di bocca quella lingua traditora!).

Gerasto. Che medico? che dice di medico?

Panurgo. Non dice nulla.

Gerasto. Parla. Che dicevi di medico?

Tofano. Dico che... .

Gerasto. Che cosa «dico che»?

Tofano. Voi mi toccate il gomito; che volete da me?

Panurgo. Chi ti tocca, asinaccio?

Tofano. Adesso mi tocchi il piede. Omai m’avete storpiato.

Panurgo. Non si vuol partir questa bestiaccia!

Tofano. Dove volete che vada?

Panurgo. Va’ in buona ora!

Gerasto. T’ho visto con gli occhi miei che lo tocchi e cenni, e mi hai fatto entrar in maggior suspetto. Vien qui, uomo da bene: chi invia queste vesti?

Tofano. Io, quando questa mattina... , subito che... .

Gerasto. Che quando, che mattina, che subito? Vai pensando qualche trappola!

Panurgo. Io dico...

Tofano. Lascia dire a me.

Gerasto. Taci tu; di’ tu: lo vo’ intendere da lui non da te.

Panurgo. Vi dará ad intendere qualche bugia.

Gerasto. Non hai ad impacciartene tu. Parla, giovane.

Tofano. ... che volevan vestire un truffatore per dar ad intendere ad un medico; ...

Panurgo. Io, ah?

Tofano. Tu, sí.

Panurgo. Tu devi stare imbriaco, tu sogni: non partirai che non ti rompa la testa, prima. Mira che viso, come sa ben fingere una bugia!

Gerasto. O non posso levarmi costui da torno! Vedo che cominci a tremare. Lèvati di qua; vien tu qui, segui il tuo ragionamento: la vo’ intender da capo.

Panurgo. (O veritá, che quanto piú l’umana forza cerca avilupparti e sommergerti sotto terra, tanto tu piú lucida e piú