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atto quinto | 289 |
un poco di grasso di frassino o di quercia; e se alla prima volta non facessi l’effetto, che continui la ricetta finché guarisca bene.
Santina. Nepita, io non confido d’andar a piedi fin alla commare, e mi duole la gamba: va’ a tormi il mio bastone.
Nepita. Vado.
Santina. Chi t’ha imparato cosí bella ricetta? n’hai ancor fatta la pruova?
Speziale. La prima volta la provai a mia moglie, ed è riuscita miracolosa; poi l’ho insegnata a molti miei amici, e tutti m’han riferito che fa effetto grande.
Nepita. Eccolo, padrona.
Speziale. Che diavolo hai meco, vecchiaccia fradicia? che t’ho fatto io che mi batti?
Santina. Vo’ che tu facci esperienza con questa tua ricetta: arai meglio creanza.
Speziale. Ritorni di nuovo? che hai meco, ti dico? non accostarti, vecchia indiavolata!
Santina. Perché non fece effetto la prima volta, la vo’ continuare finché guarisci, ché abbi meglio creanza: non vo’ che dii questi consigli contro me.
Speziale. Che consigli io ho dato contro te? dove ti conobbi mai? ho detto di sua moglie, non di te.
Santina. Io son sua moglie.
Speziale. Che sapevo io che tu eri sua moglie? certo, che è assai piú di quello che lui n’ha raccontato. Un’altra volta oggi in questa maladetta casa ho patito disgrazie e ne son stato maltrattato!
SCENA III.
Santina, Nepita.
Santina. Che dici, Nepita? non l’hai inteso con le tue orecchie? comporterò io d’esser cosí mal maritata? Non la passerá certo senza vendetta: io vo’ aventarmegli adosso come una cagna.