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ATTO V.

SCENA I.

Apollione solo.

Apollione. Veramente la nostra vita è tutta piena di travagli, né si può prometter l’uomo che faticando sempre nella gioventú, possi nella vecchiezza riposare; ché quando stimi giá esser accomodato del tutto, allora da ogni parte vengono pericoli inopinati per turbarci il viver quieto. Avea un fratello chiamato Carisio Fregoso, il quale sbandito da Genova sua patria per cose di Stato, son quindici anni che non ne ho inteso novella; e mi lasciò in casa un maschio detto Essandro. Vengo in Roma, e per non esser costui un giorno andato alla scuola, promisi di batterlo: fuggí di casa mia tre anni sono, né ne ho potuto piú saper novella; solo ho inteso che era qui in Napoli e che stava in casa di un medico detto Gerasto, vestito da fantesca. Io non posso imaginarmi altro, perché vi stii, se non per qualche trama amorosa, onde potrá facilmente capitar male. Io per veder se posso rimediare prima che si venghi a questo atto, non ho voluto risparmiar fatica in soccorrerlo. Me ne andrò informando di lui e di sua casa.

SCENA II.

Speziale, Santina, Nepita.

Speziale. (Chi arebbe pensato mai che Gerasto, stimato fin qui vecchio da bene, or sia entrato in ghiribizzi d’amore? È venuto in bottega con la maggior fretta del mondo, ché avesse fatte certe pilole, di che io ne ho una ricetta mirabile, e ché gli le porti subito in casa, ché m’arebbe dato la mancia).