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atto quarto 285

SCENA XI.

Essandro, Gerasto.

Essandro. (Oimè, ecco Gerasto e mena genti seco! Certo gli è palese il mio fallo: prima che m’uccida, será meglio gli chieda perdono!).

Gerasto. Toglietela! che fate?

Essandro. Che volete da me infelice? chi sète voi?

Gerasto. Infelice son io che muoio di rabbia per amor tuo.

Essandro. In che t’ho offeso?

Gerasto. Non meritava la conscienza che ho in te, che mi avessi cosí ingannato.

Essandro. Diasi colpa ad amore la cui legge è fuor d’ogni legge: conosco l’errore e, il confesso, merito la penitenza, ne chiedo perdono.

Gerasto. Cosí farò io a te: dopo l’errore ne chiederò perdono.

Essandro. Questi sono errori di giovani.

Gerasto. Ti farò conoscere che sono piú giovane che tu non pensi.

Essandro. Amor fu colpa del tutto.

Gerasto. Non è amore ove si toglie l’onore.

Essandro. Quel che è fatto non può farsi che non sia fatto.

Gerasto. Accomodaremo questo fatto poi con un altro fatto.

Essandro. Merito per ciò, dunque, d’esser ucciso?

Gerasto. Ucciso, no; ferito di punta, ben sí, se il pugnale non mi vien meno, almeno finché ne serò satollo.

Essandro. Sète voi tanto crudele?

Gerasto. A te è una pietá l’esser crudele.

Essandro. Sei tu tanto ingordo del mio sangue?

Gerasto. Non è sangue che si sparga con maggior dolcezza di questo.

Essandro. Abbi pietá della mia gioventú!

Gerasto. Tu della mia vecchiezza!