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atto quarto | 283 |
Gerasto. (Non ti disse colui, che sapea la sua natura, che parlava tanto a proposito che ogniuno lo giudicava savio?).
Narticoforo. (Chi sa forse ora fusse tornato in sè?). Dimmi, uomo frugi, conosci che sei sano?
Facio. Voi duo vi sète accordati insieme, e non sète pazzi ma ribaldi.
Narticoforo. Sodes, quaeso, di grazia, fatelo dislegare, lasciatelo libero; ché, l’animo mio se va ariolando la cosa e l’uno non intende l’altro, forse saran veri i fantasmi che mi van per la mente, e quel scurrile sicofanta ci ará ingannato con le sue sicofantie. Or ditemi voi, di grazia, che vi ha dato ad intendere colui che si è partito?
Facio. Questa mattina venendo Pelamatti, servo di maestro Rampino sarto, a portarmi certe vesti nuove — che volea cavalcar per Salerno, — costui gli diede ad intendere che eran sue e che egli era Facio, ch’era io, e si tolse le vesti mie. Poi, cercando a ventura per Napoli, gliele avemo trovate adosso: e volendo torcele, mi pregò che le lassassi per tutto oggi, che mi arebbe dato costui per securtá di trenta scudi; e avendomegli lui promessi, l’ho lasciato andare.
Narticoforo. Or parlate voi, di grazia.
Gerasto. Ed a me ha detto che eravate pazzo e che sempre avevate in bocca trenta scudi, vesti e pegni; e mi pregò da parte vostra che vi avesse guarito, ché mi volevate dar trenta scudi per premio; e che eravate sordo, però avessi parlato un poco piú alto.
Facio. Un’altra volta arò perse le vesti mie! Dove lo cercarò? In un punto ha raddoppiati tre: non gli deve bastar lui solo, vuol servir per tre persone.
Gerasto. Ah, ah, ah!
Narticoforo. Ah, ah, ah!
Facio. Voi forse ridete di me?
Narticoforo. Anzi, noi ci ridemo di noi stessi. A costui ha dato ad intendere ch’era me, a me ch’era costui: e cosí ha sicofantati tre.
Gerasto. Di piú, ha portato un mostro in casa con dir ch’era Cintio suo figliuolo: io ho tenuto voi per pazzo, non