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282 la fantesca

lasciò in pegno per le mie vesti. Intendetemi adesso o volete che parli piú alto?

Gerasto. Io non dico che non intendo la voce, ma non intendo quel che dici.

Facio. Che parlo ebreo, greco o arabico, che non m’intendi?

Gerasto. Parli come me, ma non intendo che dici di trenta scudi e di vesti.

Facio. Tu sei peggio che sordo, ché il peggior sordo è quello che non vuole intendere. Tu sarai forse pentito di aver fatto sicurtá di trenta scudi, e fingi non intendere.

Gerasto. Che sicurtá? che pentire? che trenta scudi?

Facio. Come trenta scudi? Dico che avendomi promesso...

Gerasto. Parole.

Facio. ... trenta scudi...

Gerasto. Se non l’hai meglio di questa, ...

Facio. ... in iscambio delle mie vesti, ...

Gerasto. ... tu sei matto da dovero.

Facio. ... avendomegli promessi dinanzi duo testimoni, ...

Gerasto. Tu erri in grosso.

Facio. ... serò atto a farmeli pagare.

Gerasto. Arai a far con un tristo come tu sei.

Facio. Non mi prometteva io ciò da questa tua vecchiaia.

Narticoforo. (Voi sapete che è capto di mente, e par che andate in contumelie).

Facio. Son uomo di tòrvi le vesti da dosso.

Gerasto. Ecco il furore! o voi, toglietelo stretto e ligatelo che non si muova, che gli vo’ dar un lattovaro in casa.

Facio. Che volete da me voi, furfanti? A dispetto di...

Gerasto. Riponetelo dentro, ché vo’ curarlo.

Facio. ... ché pensava aver a trattar con un cattivo, or ne ho ritrovato un altro peggio!

Gerasto. Se non parli come devi, ti torrò io la pazzia da capo, ché a medicare un pazzo ci vuole un pazzo e mezzo.

Facio. Cosí mi fai tu ingiuria?

Gerasto. L’ingiuria la fai tu a me.

Narticoforo. (Costui mi par che parla a proposito).