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276 la fantesca


Gerasto. Poco anzi diceva che si chiamava Pantaleone e or dice che si chiama don Pedro Caravaial.

Narticoforo. Oh, come arei a caro che la rabbia che avevamo contro noi, la disfogassimo contro loro!

Gerasto. Io son del medesimo parere.

Narticoforo. Io ho sotto il mio baculo magistrale.

Gerasto. Io ho un legno qui presso.

Narticoforo. Orsú, diamogli adosso!

Gerasto. Adosso!

Dante. ¿Que haceis? teneos, viejos mohosos, picaros ¡á tras, á tras!

Pantaleone. ¡Válame Dios, que estos vellacones no quieren irse de mi presencia, que juro que si pongo mano á la mi espada, os haré mil pedazos!

Gerasto. Ah, furfanti!

Narticoforo. Ah, poltronacci!

Pantaleone. ¡Teneos, teneos!

Gerasto. Orsú, la rabbia l’abbiamo sfogata con costoro.

Narticoforo. Sí bene; ma io exoptava dilucidarmi del vostro fatto.

Gerasto. Ecco, sia lodato Iddio, chi ci torrá d’ogni dubbio.

Narticoforo. Ecco chi ne può dilucidar del tutto.

SCENA VIII.

Panurgo, Gerasto, Narticoforo.

Panurgo. (Che sieno maladetti quei corbi che non ti cavaro quelli occhi, ché non m’avessero veduto. Eccomi incappato nella rete che ho teso. Se fuggo gli pongo in maggior suspetto: o che contrasto che nascerá fra noi tre!).

Gerasto. Signor Narticoforo, oh come vi veggio volentieri!

Narticoforo. Signor Gerasto, oh come opportune advenis!

Panurgo. (Che farò, che dirò? o bugie correti a monti, a diluvi per liberarmi da questo incontro). Voi siate gli ben trovati!