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266 la fantesca


Gerasto. Perché sei incredulo?

Narticoforo. Anzi, tu bugiardo?

Gerasto. Questa tua barba bianca m’ave ingannato.

Narticoforo. La tua ciera m’ha detto la veritá. Mira faccia di boia!

Gerasto. Mira faccia d’appiccato! stolto ignorante!

Narticoforo. Mentiris per guttur! oh avessi la mia ferola, ché ti vorrei far pentire di quanto hai detto.

Gerasto. Ti risponderei con le mani, se avessi qui un bastone, e ti impararci la creanza.

Narticoforo. Tu la creanza a me? il quale con publico stipendio lègo una lezione estraordinaria alla Rotonda di versi di Mancinello di costumi? Pensi che per esser qui forastiero non abbi in questa cittá alcun amico? o abbi la crumèna cosí vacua che non possa far pentirti del tuo stultiloquio? Condurrò io qui or ora il capitan Dante, hispanus Hector, e ti farò conoscere quanto importi usar ingiuria a chi non la meritò mai.

Gerasto. Né tu mi trovarai qui solo. Ma ben hai fatto a partirti, ch’essendo scemo di cervello, con un bastone ti volea far tornar savio. Mira che sorte di uomini vanno per lo mondo, mira che cantafavole! Diceva la casa mia essere appestata, che lui era Narticoforo e ch’io non fusse Gerasto; alfin volea che Cintio non fusse figlio di Narticoforo.

SCENA III.

Essandro, Gerasto.

Essandro. Voi sète Gerasto medico, eh?

Gerasto. Io son; che volete per questo?

Essandro. Avete voi avuto rissa con un maestro di scola?

Gerasto. Con uno che per tale si volea far conoscere.

Essandro. Va ragionando per le strade con quanti uomini da bene incontra, con dir che Gerasto de Guardati è un medicacavalli, castraporci, maneggiator di sterco e d’urina.

Gerasto. Egli ne mente, ché in ogni conto son miglior di lui.