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atto quarto | 265 |
Morfeo. Chi è questo fo... fo... forastiero?
Narticoforo. Profecto desio saper chi voi sète.
Morfeo. Io Ci... Cintio romano.
Narticoforo. Di chi sète figlio?
Morfeo. Di Na... Na... Nas... Nasincolfino romano.
Narticoforo. Narticoforo vuoi tu dire? Che arte egli essèrce?
Morfeo. Maestro di sco... sca... sce..., mastro di scola.
Narticoforo. Pensava volessi dir mastro di solar scarpe. Che sei qui venuto a fare?
Morfeo. A sbo... sbu... sbosar la figlia di questo me... men... medico.
Narticoforo. Di quanto hai detto, tu menti del tutto.
Morfeo. Sbu, sbu.
Narticoforo. Oimè, che putore! che cosa è questo che m’hai buttato in faccia?
Morfeo. È ro... rotta la postema: è lo san... sangue e la mar... marcia.
Narticoforo. Oimè, che fetulenzia, che cloaca è questa!
Morfeo. Ti giuro... .
Narticoforo. Non giurare a chi non crede al tuo giuramento. Parteti di qua; se non, mi partirò io.
Gerasto. Entra, Cintio mio caro. Ecco, hai pur visto esser vero quanto ti ho detto.
Narticoforo. Mio figlio non è cosí fatto: è un Adone, un Ganimede, immo centies piú bello dell’uno e dell’altro. Questi è un deforme Tersite. Proh Iuppiter, questa Napoli deve essere qualche terra incantata, dove gli uomini diventano altri di quel che sono; onde son ancipite come si trovano qui uomini che non solo mentiscono chi sono, ma s’usurpano i nomi e le condizioni d’altri.
Gerasto. Ed è possibile che in Roma si trovino uomini cosí ignoranti e di sí fatta condizione che non si voglino persuadere che altri non sieno quelli che sono, e or si vogliono far conoscere per quelli che non sono?
Narticoforo. Non fu inteso mai il piú insigne mendacio in questa machina mundiale!