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atto quarto | 261 |
ATTO IV.
SCENA I.
Narticoforo, Gerasto.
Narticoforo. (Heu, misero Narticoforo, tu stai in un pelago di ancipiti pensieri! A me duole partirmi senza far molti consci della ingiuria con che m’ha lacessito Gerasto; e se non mi parto, quel suo nipote vuol trucidarmi: io sono tra Cariddi e Scilla!).
Gerasto. (Fioretta non è in camera: andrò in casa, gli farò cenno che venghi, e vedrò se gli forastieri han pranzato e se si riposano).
Narticoforo. (Costui deve esser forastiero in questa cittá, perché va alla casa appestata e la batte per entrare). O viro probo, arrige aures a quel che dico.
Gerasto. O son sordi o dormono.
Narticoforo. Perché battete quel ostio con tanta veemenzia?
Gerasto. Perché ho voglia d’entrare.
Narticoforo. Voi dovete esser forastiero e l’arete presa in cambio.
Gerasto. Or questa è bella, che un forastiero dica ad un cittadino che è forastiero, e gli vogli insegnar la sua casa!
Narticoforo.
Heu fuge crudeles terras, fuge littus avarum!
Gerasto. Perché mi dite voi questo?
Narticoforo. In questa casa ci è la peste, e ponendovi la testa dentro o toccando la porta, s’apprende.
Gerasto. Penso che voi vogliate darmi la baia.
Narticoforo. Vuoi tu un buon consiglio? scòstati da quella porta, perché ti appestará.