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atto terzo 251


Granchio. Ecco, trovate vere le mie parole. Quanto era meglio credere e non voler provare. Ella è dentro, e noi, come quelli che non entrano mai, siamo restati fuora.

Narticoforo. Il canchero che ti mangi! abi in malam crucem! Costei deve essere qualche fantesca ignorante: che sa dei fatti del padrone?

Granchio. Fate quanto volete, troverete vere le mie parole.

Narticoforo. Lasciami confabular con Gerasto, cosí vedremo chi ará ragione. Batti le valve con veemenzia, che scappino dalle fibie e contignazioni.

Granchio. E pur volete battere le porte: avete la rabbia con i padroni e la volete sfogar con le porte.

Narticoforo. Se mi fai irascere, batterò te per lei.

Granchio. Ecco s’apre di nuovo. O iudiciosa porta, quanto devi esser savia, poiché come stai per esser battuta, t’apri da te stessa.

SCENA IX.

Panurgo, Narticoforo, Granchio.

Panurgo. O amico colendissimo, ben venghi il mio Narticoforo romano!

Narticoforo. O Geraste, patronorum patronissime, dii deaeque omnes te sospitent et salvum faciant, ben trovato per una miriade di volte!

Granchio. (Costoro si conoscono: la cosa non va buona per me).

Panurgo. Dove è Cintio vostro figliuolo?

Narticoforo. Nel diversorio, ché per non essere assueto a viaggi, recumbe nel pulvinare; ma verrá quanto ocius. Ma certo, Gerastule, Gerastule lepidule, voi stesso vi lacèssite d’ingiuria, chiamandovi decrepito, ché per la Dio mercé non mi parete di quaranta anni.

Panurgo. L’aria di Napoli è cosí sottile che nasconde gli anni alle persone.