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atto terzo 245


Essandro. Oimè, eccoli! quel primo è Granchio suo servo, quel vecchio deve essere Narticoforo.

Panurgo. Morfeo, entra con Essandro e vèstiti da femina, attendi a quel che si dice e aiuta al bisogno.

Morfeo. L’odor delle vivande ha tratto costui cosí presto; ma tu non n’assaggierai.

SCENA VII.

Narticoforo maestro di scola, Granchio.

Narticoforo. Equidem, sive ego quidem — parenthesis, — Carcine, Carcine, vereor, io dubito che tu sii allucinato, perché con tanti reiterati verbilòqui dici ch’eravamo giunti.

Granchio. Anzi io in replicargli che non poteva essere, si fecero beffe di me che come granchio avea caminato a traverso.

Narticoforo. Dic mihi vel responde mihi: non m’hai tu invento nel luogo, illic — status in loco ubi me dereliquisti, — e con i coturni ancora?

Granchio. Sí bene.

Narticoforo. Igitur, ergo, dunque come era io in casa sua? alle premesse seguita giusta conclusione.

Granchio. Non so altro che dirvi.

Narticoforo. Tu intanto sei optumo in quanto non bevi; perché non tu assorbi il vino, ma il vino assorbe te, et ob id non sei tu, ma il vino che parla.

Granchio. Certo che bevendo non mi bevo i comandamenti del padrone, né voi per farmi avanzar tempo mi faceste bere una voltarella, come è mio costume, prima che mi parta dall’osteria; e io poco me ne curai, pensandomi che questo medico ne avesse ricevuto con un banchetto da imperadore.

Narticoforo. Io suspico certo che tu sarai entrato dentro qualche diversorio e ti arai ingurgitato qualche anfora, medimno o congio di liquor di Bacco; e cosí semisepolto nel sonno, ti sará apparso questo strano fantasma d’essere stato in casa